La storia del Museo e delle sue collezioni

 

PRIMA DEL MUSEO

 

Prima dell’istituzione del museo la storia delle antichità di Este è data da ritrovamenti sporadici e dall’impegno di personaggi illuminati che hanno formato le prime collezioni. Le prime notizie di ritrovamenti di oggetti antichi nel territorio di Este si trovano in alcune opere antiquarie del 1400 e del 1500. Oggetti “antichissimi” erano poi conservati in molte delle preziose collezioni venete.

 

Solo agli inizi del XVII secolo, Giorgio Contarini riunisce nella sua villa di via Cappuccini, conosciuta come “Vigna Contarena”, una serie di monumenti romani, per lo più da lapidi iscritte, acquistati da antiquari di Padova.
Dopo un secolo, l’estense Isidoro Alessi, appassionato di antichità, inizia a raccogliere nella sua casa monumenti iscritti ed epigrafi ritrovati in città e nel territorio circostante e grazie ad una paziente ricerca nelle abitazioni private.

 

Verso la fine del Settecento, il marchese Tommaso Obizzi costituisce, nel castello del Catajo a Battaglia Terme, una ricca collezione di monete e antichità riunendovi in pochi anni monumenti e lapidi provenienti dal Veneto, da Volterra, Roma, dalla Dalmazia, dalla Grecia, ma anche ceramiche, bronzi, lapidi iscritte e monumenti funerari frutto degli scavi da lui condotti nelle sue proprietà.

 

Alla morte di Tommaso Obizzi, nel 1803, il castello del Catajo e tutte le sue collezioni passano in eredità al duca di Modena Ercole III e da questi alla casa d’Austria – Este.

 

Nel 1822 inizia l’esodo delle collezioni: le monete e i bronzetti vengono divisi tra Vienna e Modena, e per questo motivo nella coscienza civica di Este nasce l’esigenza di impedire la dispersione delle antichità locali.

 

 

La prima raccolta pubblica di antichità

 

LA PRIMA RACCOLTA PUBBLICA DI ANTICHITA’: il Museo Civico Lapidario

 

La prima raccolta pubblica che impedisse la dispersione delle antichità di Este fu istituita da Vincenzo Fracanzani. A lui si deve l’istituzione del Museo.

 

La prima sede del Museo Civico Lapidario fu la piccola chiesa di Santa Maria dei Battuti, all’interno del grande convento di San Francesco.

 

1834: il primo nucleo del museo è formato dalla collezione Alessi, che il comune acquista “con notevole dispendio” e grazie all’aiuto di generosi cittadini. Ad essa si aggiunge la collezione Contarini, donata dal nuovo proprietario della Vigna Contarena.
Con queste collezioni si assicura alla proprietà pubblica un consistente insieme di importanti monumenti, fra cui spicca il masso del Monte Venda con l’iscrizione che regola i confini tra il territorio di Este e quello di Padova.

Fracanzani affida la custodia del piccolo museo ad Eugenio Gasparini, serio e appassionato raccoglitore delle cose antiche che emergevano sporadicamente nel territorio. Contemporaneamente incarica Giuseppe Furlanetto di redigere il catalogo del museo, ricco di 89 pezzi tra epigrafi, elementi architettonici e frammenti di statue.

 

1858: si festeggia il “riordinamento del Civico Museo”. Scorrendo le pagine del registro con le firme dei visitatori emerge subito il successo che il nuovo museo riscuote fin dai primi anni di vita, sia localmente che a livello nazionale ed internazionale.
1867: anche Teodoro Mommsen esprime il suo apprezzamento per i tesori esposti e per l’opera di Isidoro Alessi. A ricordo della visita del famoso storico tedesco resta il testo di una lapide dedicatagli nel museo.

 

Dopo la morte di Gasparini il comune deve provvedere ad un nuovo direttore: dopo una breve reggenza dell’abate Francesco Soranzo, nel 1874 viene nominato Alessandro Prosdocimi, un giovane professore.

 

1876: si scoprono casualmente, in un podere di proprietà del conte Girolamo Boldù Dolfin a Canevedo, sette tombe. Due di esse contengono ricchi corredi e bellissime situle bronzee decorate a sbalzo. Questa scoperta conferma a Prosdocimi l’esistenza a Este, prima di Roma, di una importante civiltà.

1877 – 1880: Prosdocimi conduce campagne sistematiche di scavo nelle aree di necropoli preromane da lui individuate tutto attorno alla città.

 

1879: entra nella storia della ricerca archeologica ad Este il nome della villa Benvenuti, legata ad Alvise Cornaro, il grande umanista cinquecentesco che in quell’area aveva una casa frequentata da artisti e letterati come il Ruzzante. Nel corso dei lavori di sistemazione del parco si rinvengono alcuni oggetti antichi che vengono subito donati al museo: tra questi spicca una eccezionale fibula in bronzo a carro, che fa intuire a Prosdocimi la centralità e l’importanza dell’area della villa in età antica.

 

Proprio in occasione degli scavi di villa Benvenuti inizia la sua collaborazione al museo Alfonso Alfonsi.

 

 

Il Museo Euganeo Romano

 

Dopo gli straordinari rinvenimenti preromani e la donazione dei Benvenuti, il comune delibera che il Civico Museo Lapidario cambi il suo nome in Museo Euganeo-Romano.

 

Si decide di lasciare il lapidario e le collezioni romane a Santa Maria dei Battuti e di destinare alle ormai imponenti collezioni preromane la sala superiore dell’adiacente chiesa di San Francesco, in cui già dal 1877 erano state collocate “le vetrine che raccolgono le antichità metalliche”.

 

1880: il consiglio comunale approva il “Regolamento pel servizio del Civico Museo Euganeo-Romano di Este” in cui si legge che “il personale del museo si compone di un Conservatore, di un Viceconservatore, di un Custode, di una Commissione di Patronato, di una Commissione Tecnica”.

 

1880 – 1890: l’opera della commissione di patronato, che deve vigilare sull’amministrazione del museo, sugli scavi e sull’ordinamento e il mantenimento delle collezioni, sarà determinante per la vita del museo. Nella prima seduta, la commissione designa come viceconservatore Alfonso Alfonsi e un mese dopo invita il Prosdocimi a trasferire nella nuova sede di San Francesco “quanto vi appartiene” a causa della scarsità di spazio e “considerando il crescente numero di lapidi…”.

 

1881: vengono eseguiti i lavori per la sistemazione della collezione e l’apertura al pubblico.

 

1882: sei anni dopo le scoperte del podere Boldù Dolfin, Prosdocimi pubblica un’ampia relazione di scavo nella quale riesce a tracciare una sintesi della civiltà atestina dell’età del ferro (dal X al secondo secolo a.C.) attribuendola al misterioso popolo degli Euganei; sono particolarmente interessanti, e ancora validi, i dati sulla topografia antica di Este.

 

Già nel 1882 Wolfang Helbig dimostra l’inconsistenza della nozione di “euganeo” assegnando ai Veneti, chiaramente citati nelle fonti letterarie, le iscrizioni e la cultura preromana .

Negli anni a seguire Prosdocimi continuerà ad esplorare aree di necropoli e di abitato, tra cui quelle in località Morlungo e Ponso. Nei fondi privati non potè seguire con rigore scientifico lo svolgimento degli scavi, in particolare nel fondo Baratella, area della scoperta del santuario della dea Reitia, a causa della legislazione dell’epoca che consentiva a chiunque di condurre esplorazioni archeologiche nella sua proprietà senza permesso e controllo.

 

Contemporaneamente si svolsero gli scavi nelle proprietà di Antonio Nazari, in quegli anni sindaco di Este, seguiti da don Francesco Soranzo: con i ricchissimi materiali qui ritrovati i Nazari arricchirono la loro raccolta di antichità, costituendo nella propria casa di via Garibaldi un vero e proprio museo i cui materiali furono purtroppo esposti senza alcun ordine logico, riducendone notevolmente il valore scientifico.

In questi anni il costo delle acquisizioni di oggetti antichi rinvenuti in fondi privati gravò pesantemente sul modesto bilancio del museo.
Alcuni oggetti non poterono invece essere restituiti alla città di Este: Soranzo, divenuto parroco a Vigonza, alle porte di Padova, vi trasferì una piccola collezione personale che, alla sua morte, fu venduta per 900 lire al museo preistorico di Roma.

 

La Commissione di Patronato

LA COMMISSIONE DI PATRONATO

Nonostante le clamorose scoperte di villa Benvenuti e la dedizione di Prosdocimi, seguirono in breve tempo difficoltà di ogni tipo, aggravate dalla grave crisi economica e sociale che affliggeva Este in quegli anni.

 

Nella documentazione di quegli anni si legge che la Commissione di Patronato si vede protrarre “all’infinito…la solenne apertura del Museo”“Buona parte delle scoperte…giace tutt’ora in alcune camere mancando scaffali a riporvele”. La commissione denuncia anche l’impossibilità di eseguire i restauri dell’ingresso e del grande salone e di procedere con gli scavi delle estese necropoli, soprattutto a causa della ristrettissima dote annua di 600 lire fornita dal ministero.

 

Per tutti questi motivi la Commissione avanzò una serie di proposte di intervento, tra le quali rientrava anche quella di dichiarare nazionale il Museo di Este cedendo allo Stato la proprietà delle raccolte.
Dopo sedute burrascose per il mancato riscontro da parte del comune alle richieste avanzate, nel febbraio del 1882 la commissione e il conservatore rassegnarono le dimissioni, rientrando poco dopo per le pressioni del ministero e del consiglio comunale.

 

Nell’autunno del 1882 il sindaco Antonio Ventura decise di inviare una minuziosa lettera al ministro che si concludeva con la rinnovata proposta di cedere l’amministrazione del museo al Regio Governo.

 

 

L’istituzione del Museo Nazionale Atestino

 

L’ACQUISTO DEL CASTELLO E L’ISTITUZIONE DEL MUSEO NAZIONALE ATESTINO

Marzo 1883: il consiglio comunale, convocato in seduta straordinaria, autorizzò la giunta a stipulare con i signori da Zara il definitivo contratto d’acquisto del castello e del palazzo Mocenigo, destinato a nuova sede museale.

 

1885: il consiglio comunale chiese ufficialmente la nazionalizzazione del museo.

 

1887: venne emanato il Decreto Reale di istituzione del Museo Nazionale Atestino della cui direzione fu incaricato Alessandro Prosdocimi.

 

1888: viene firmata una convenzione con cui il comune cede in deposito perpetuo allo stato le raccolte civiche, destinando a sede definitiva del museo il palazzo Mocenigo.

 

Il progetto di adattamento dell’antico edificio a sede del museo venne approvato nel 1884: l’opera più impegnativa era costituita dall’aggiunta di un corpo nuovo destinato a contenere l’atrio con la direzione e una nuova scala di accesso ai piani superiori.

 

Il piano scientifico della nuova esposizione viene redatto da Prosdocimi con l’aiuto di Ghirardini: alla base della sistemazione che essi dettero al museo vi fu il rispetto dell’ordinamento topografico e il mantenimento delle originarie distinzioni dei corredi tombali, privilegiando nell’esposizione gli aspetti storici su quelli artistici.

 

Al primo piano fu prevista la sistemazione dei materiali degli abitati pre e protostorici nella prima sala e l’esposizione in ordine topografico nella seconda e terza sala dei corredi tombali; nella quarta sala furono collocati i reperti del santuario di Reitia e la quinta fu destinata a magazzino.

 

Al pianterreno fu ordinata la sezione romana con i materiali delle necropoli nella prima sala e sculture ed elementi architettonici nella seconda; nella terza e quarta sala furono collocate le iscrizioni dell’agro atestino e le iscrizioni e le antichità di altri territori circostanti. In due piccoli ambienti a destra dell’ingresso furono esposte le opere medievali e moderne.

 

1895: viene eseguito il trasporto delle collezioni preromane dalla sala superiore della chiesa di San Francesco alla nuova sede e nell’anno successivo vengono spostati anche i materiali del lapidario conservati nella chiesa di Santa Maria dei Battuti.

 

1896: il territorio perde definitivamente le collezioni degli Obizzi, che lasciano il Catajo e vengono portate a Vienna. I materiali di Este vengono divisi tra il Kunsthistorisches e il  Naturhistorisches Museum, dove si trovano ancora oggi.

 

Nella seconda metà degli anni novanta l’economia di Este attraversa un momento di notevole trasformazione, con l’impianto di alcune grandi fabbriche, l’arrivo dell’energia elettrica e il nascere di varie attività industriali.

 

6 luglio 1902: si celebra l’inaugurazione della nuova sede, in questo clima di migliorate condizioni economiche e sociali.

 

 

Alfonso Alfonsi e Adolfo Callegari

 

1909: Prosdocimi lasciò il museo e dopo la sua morte nel 1911 la reggenza della direzione fu affidata ad Alfonso Alfonsi che, privo di un titolo specifico, viene nominato direttore solo nel 1921.

 

Durante la sua direzione il museo vive i problemi della guerra, molto vicina ad Este. Nella impossibilità di rimuovere i troppo fragili materiali protostorici si trasportarono al Museo Archeologico di Firenze solo “gli oggetti di peculiarissima importanza” mentre altri furono trasferiti in ripostigli attrezzati. Dopo Caporetto altre casse di materiali furono portate a Roma e depositate a Palazzo Venezia, rientrando ad Este solo nel 1919.

 

L’ordinamento del museo rimase pressochè quello del 1902, ma per sistemare la grande quantità di materiali acquisiti con i nuovi scavi, sollecitato da Alfonsi il governo concluse nel 1911 col Comune un contratto di affitto per l’uso di tre ambienti delle soffitte dell’ala del palazzo che ospitava le scuole elementari.

 

Nel frattempo Alfonsi segue un gran numero di scavi in tutto il territorio della soprintendenza, da Padova ad Adria a Vicenza. Ad Este va ricordato soprattutto quello della necropoli romana nel fondo Rebato, con ben 52 tombe e 10 cippi funerari in pietra, e lo scavo del 1914 al Casale dove vengono recuperati vari frammenti del fregio dorico con protomi a testa di toro e teste dei Dioscuri, appartenenti al santuario dei Dioscuri.

 

1922: dopo la sua morte e a vent’anni dall’inaugurazione della nuova sede, si chiude il periodo più glorioso e fervido della storia del museo.

 

Il soprintendente Gino Fogolari nomina direttore Adolfo Callegari, allora ispettore onorario ai monumenti. Tra i suoi scavi va ricordato in particolare quello condotto nell’area della grande villa romana a nord-ovest di Este, in proprietà Albrizzi, e quello dello scolo di Lozzo per la sistemazione dei canali di bonifica. Due acquisizioni di particolare interesse segnano la direzione di Callegari.

 

1925: viene acquisito il noto medaglione aureo di Augusto.

 

1936: il museo ottiene in dono una serie di ricchi materiali ceramici del XVI e XVII secolo rinvenuti nell’abbazia camaldolese di Santa Maria di Carceri.

 

1936 – 1942: si svolgono lavori di manutenzione abbastanza consistenti. Viene riordinata la sezione romana e rimodernato l’atrio in cui vengono collocate due carte archeologiche di Este e dell’agro; viene aperta al pubblico la sala V del primo piano con i materiali delle stipi votive. i lavori si interrompono a causa della guerra e le misure di protezione a difesa delle opere d’arte alterano anche l’ordine dell’esposizione.

 

Tra i progetti di Callegari c’era quello di valorizzare la collezione di maioliche del Settecento e di unire a queste altre opere d’arte di età medievale e moderna, ma la guerra e la morte del soprintendente Fogolari nel 1941, che lo appoggiava, impedirono la realizzazione del progetto.

 

1947: Callegari muore improvvisamente ad Arquà Petrarca.

 

 

 

Giulia Fogolari

 

A Callegari succede Giulia Fogolari, dal 1939 ispettrice della Soprintendenza alle antichità delle Venezie.

 

Erano anni difficili, con gravi carenze di personale e di fondi. Gli imponenti afflussi di materiali in seguito agli scavi di Alfonsi e Callegari e gli spostamenti avvenuti durante la guerra avevano alterato la sistemazione del 1902 e creato affastellamenti di mosaici, lapidi e casse contenenti frammenti nelle sale romane.

 

1955: vengono riordinate alcune sale con la costruzione di nuove vetrine e una notevole selezione e riduzione del materiale esposto; contemporaneamente si sistema a magazzino il settore delle soffitte che era stato acquisito già da Callegari.

 

Allo stesso tempo si iniziano i restauri più urgenti privilegiando le situle bronzee e gli ex voto dei santuari. Il restauro viene eseguito da una restauratrice autodidatta di Roma, conosciuta per i suoi restauri di molti pezzi del Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma: essendo del tutto priva di una preparazione di base molti dei suoi lavori dovranno essere in seguito ripresi con metodi più corretti.

 

Il notevole impulso agli studi sulla civiltà preromana del Veneto verificatosi a partire dagli anni Sessanta, l’incremento dei fondi per la catalogazione e l’assegnazione di nuovo personale tecnico-scientifico nel corso degli anni Settanta hanno impresso ai restauri e ai lavori di catalogazione un ritmo più spedito, grazie anche alla collaborazione dal 1965 con l’Istituto di Archeologia dell’Università di Padova.

 

1965 – 1968: furono redatte circa 4700 schede ed eseguiti 2800 disegni e 1000 fotografie.

 

1968: finalmente lo Stato acquista dal comune di Este l’ala del Palazzo Mocenigo occupata dalle scuole elementari “Giovanni Pascoli”, occupandone le soffitte già nel 1973: il museo poteva ora adibire l’intero spazio a magazzini e introdurre le nuove scaffalature di cui c’era tanto bisogno.

 

Nel frattempo si lavorava alla paziente ricomposizione dei corredi tombali che erano stati rimescolati dagli operai durante lo spostamento per la costruzione delle scaffalature negli anni Cinquanta, e alla schedatura dei reperti.

 

In quegli anni il restauro dei materiali era un punto dolente: mancavano le attrezzature necessarie per operare internamente e ci si doveva rivolgere a ditte esterne, con un conseguente lungo lavoro di selezione degli oggetti in base al grado di deterioramento.

 

1967 – 1978: riacquistano forma e consistenza più di 3300 pezzi.

 

1965 – 1977: l’attività di scavo si arresta a causa delle forti carenze di mezzi e personale, ma soprattutto per la priorità data al lavoro scientifico di schedatura, restauro e riordino del museo.

In particolare, fino al 1985 il museo è molto impegnato nella preparazione dei cataloghi relativi alle necropoli.

 

1970: il museo fu finalmente dotato di un impianto di riscaldamento centrale a metano.

 

1979: il museo viene chiuso per dissesti statici, con lo sgombero di tutte le sale.

 

1984: il museo viene riaperto al pubblico. Nei cinque anni di chiusura sono stati eseguiti lavori radicali di restauro e ristrutturazione ed è stata realizzata, partendo da una revisione scientifica di tutto il materiale, una esposizione completamente rinnovata, corredata da un ampio apparato illustrativo.